INFO UTILI |
CONTATTI |
“Dunque cosa manca? Ah già… il sale!”
Quando al supermercato mettiamo nel carrello una confezione di sale, poiché all’ultimo ci siamo ricordati che a casa il barattolo è quasi vuoto, probabilmente ne ignoriamo il nome chimico, cloruro di sodio, o che NaCl è la formula che lo identifica, o ancora che si tratta del sale sodico dell’acido cloridrico. Di sicuro non poteva saperlo il nostro lontano predecessore che in una grigia giornata autunnale percorreva crinali spazzati dal vento con un sacchetto sulle spalle, o se più fortunato legato sul dorso del mulo, lieto di aver barattato la lana della pecora con una merce così importante e costosa. Già, a differenza dei pochi centesimi al chilo riportati oggi sui cartellini degli scaffali, all’epoca il sale risultava un prodotto davvero costoso e raro, tanto da indurre il nostro impavido antenato ad affrontare chilometri di sentieri fangosi per procurarselo. Molti saranno indotti a chiedersi se valeva la pena sopportare freddo, pioggia, notti all’addiaccio e pericoli solo per insaporire lo stufato. La risposta è sì, poiché il sale riveste un ruolo fondamentale per l’alimentazione umana, soprattutto in una dieta povera di carne e ricca di verdure, ma in un’ottica prospettica lo scopo non era tanto l’esaltazione della sapidità del cibo da portare a tavola quanto la possibilità di poterlo garantire nel tempo.
Quando al supermercato mettiamo nel carrello una confezione di sale, poiché all’ultimo ci siamo ricordati che a casa il barattolo è quasi vuoto, probabilmente ne ignoriamo il nome chimico, cloruro di sodio, o che NaCl è la formula che lo identifica, o ancora che si tratta del sale sodico dell’acido cloridrico. Di sicuro non poteva saperlo il nostro lontano predecessore che in una grigia giornata autunnale percorreva crinali spazzati dal vento con un sacchetto sulle spalle, o se più fortunato legato sul dorso del mulo, lieto di aver barattato la lana della pecora con una merce così importante e costosa. Già, a differenza dei pochi centesimi al chilo riportati oggi sui cartellini degli scaffali, all’epoca il sale risultava un prodotto davvero costoso e raro, tanto da indurre il nostro impavido antenato ad affrontare chilometri di sentieri fangosi per procurarselo. Molti saranno indotti a chiedersi se valeva la pena sopportare freddo, pioggia, notti all’addiaccio e pericoli solo per insaporire lo stufato. La risposta è sì, poiché il sale riveste un ruolo fondamentale per l’alimentazione umana, soprattutto in una dieta povera di carne e ricca di verdure, ma in un’ottica prospettica lo scopo non era tanto l’esaltazione della sapidità del cibo da portare a tavola quanto la possibilità di poterlo garantire nel tempo.
Il nostro ben allenato progenitore era ovviamente scevro di nozioni fisiche quali l’osmosi o la permeabilità delle membrane, ma ne aveva intuito gli effetti nel processo di conservazione degli alimenti per proteggerli da alterazioni microbiche: molto più pragmatico che teorico, poco gli sarebbe importato capire come l’acqua tenda ad essere assorbita dal sale per ridurre la differenza di concentrazione tra due sostanze diverse, intento com’era a calcolare quanto avrebbe potuto conservare in vista dell’inverno il coniglio selvatico appena catturato! E non bastava la fatica, qualche fiocco di neve sospeso ai capricci del vento o l’ululato di un lupo che rimbalzava tra le gole dei monti a distoglierlo dal pensiero che col prezioso carico avrebbe anche potuto conciare qualche pelle di animale per difendersi dai morsi del gelo.
|
Diversi erano i tragitti che nel Medioevo mettevano in comunicazione la Pianura Padana con la Liguria: la denominazione “Via del Sale” è usata dall’estremo ponente ligure alla Toscana per indicare una molteplicità di tracciati commerciali che collegavano l’entroterra alla costa. Nonostante i dislivelli e le difficili condizioni metereologiche i percorsi prediligevano i crinali dei monti, in quanto permettevano vie più dirette dei tortuosi fondovalle, più sicure dagli agguati dei briganti, evitavano il passaggio di torrenti che l’esiguità dei ponti rendeva difficoltoso e offrivano una migliore individuazione della giusta direzione da seguire.
Ovviamente la morfologia dei luoghi suggeriva i tragitti migliori, ma un altro fattore influiva sulla scelta degli itinerari: la spartizione dei territori, in epoca medievale, tra importanti famiglie feudali ed i conseguenti dazi doganali imposti. Le presenti pagine vogliono approfondire il percorso che da Varzi sale al monte Boglelio, quindi al Chiappo, e dopo il valico delle Capanne di Cosola punta verso il Cavalmurone ed il Carmo, arriva alle Capanne di Carrega, al monte Antola ed in territorio ligure scende a Torriglia, tocca il monte Lavagnola ed in direzione di Uscio raggiunge i porti costieri. Ebbene, per un lungo tratto il percorso si manteneva nel territorio dei marchesi Malaspina, famiglia che ha regnato per secoli nelle terre dell’Oltrepò, promuovendo gli scambi commerciali ed imponendo un sistema di gabelle in cambio della sicurezza di persone e merci. Essendo i Malaspina alleati con la città di Pavia, in base ad un atto del 1284 i mercanti pavesi, ed il nostro intrepido avo camminatore, dovevano seguire l’itinerario descritto, pagando ovviamente un pedaggio al marchesato e ricevendo in cambio protezione.
Ovviamente la morfologia dei luoghi suggeriva i tragitti migliori, ma un altro fattore influiva sulla scelta degli itinerari: la spartizione dei territori, in epoca medievale, tra importanti famiglie feudali ed i conseguenti dazi doganali imposti. Le presenti pagine vogliono approfondire il percorso che da Varzi sale al monte Boglelio, quindi al Chiappo, e dopo il valico delle Capanne di Cosola punta verso il Cavalmurone ed il Carmo, arriva alle Capanne di Carrega, al monte Antola ed in territorio ligure scende a Torriglia, tocca il monte Lavagnola ed in direzione di Uscio raggiunge i porti costieri. Ebbene, per un lungo tratto il percorso si manteneva nel territorio dei marchesi Malaspina, famiglia che ha regnato per secoli nelle terre dell’Oltrepò, promuovendo gli scambi commerciali ed imponendo un sistema di gabelle in cambio della sicurezza di persone e merci. Essendo i Malaspina alleati con la città di Pavia, in base ad un atto del 1284 i mercanti pavesi, ed il nostro intrepido avo camminatore, dovevano seguire l’itinerario descritto, pagando ovviamente un pedaggio al marchesato e ricevendo in cambio protezione.
A favorire l’utilizzo di questa via di comunicazione ha di certo contribuito l’espansione commerciale che dal XII secolo ha avuto la città di Genova, unita allo sviluppo dei laboratori manifatturieri in Pianura Padana e alla conseguente necessità di esportare prodotti di pregio quali stoffe e pelli conciate. Genova riuscì a commercializzare tali mercanzie in buona parte del Mediterraneo occidentale, fornendo a sua volta materie prime grezze quali lana, pelli, coloranti per tessuti e allume per la concia delle pelli, incrementando così l’industria tessile pavese, milanese e piacentina. Come già rimarcato, i Pavesi utilizzarono il percorso che da Voghera raggiungeva Varzi per poi guadagnare quota presso il monte Boglelio e seguire la via sul crinale.
|
Anche buona parte dei Piacentini tendeva a raggiungere Varzi attraverso la val Tidone per seguire poi tale direttrice. Essendo invece i marchesi Malaspina ostili a Milano, i commercianti di tale città ricercarono il collegamento con Genova attraverso la valle Scrivia ed i passi della Bocchetta o dei Giovi.
Il percorso seguito dalla Via del Sale pavese interessa buona parte della zona montuosa afferente al territorio oggi denominato delle Quattro Province, una porzione dell’Appennino compresa tra le province di Alessandria, Genova, Pavia e Piacenza. Ovviamente una via di comunicazione così frequentata ha favorito non solo scambi commerciali ma vere contaminazioni di usanze diverse, promuovendo un’identità culturale comune. Ne è un esempio la tradizione delle danze popolari accompagnate da muse e pifferi, un tempo attestate nelle zone litoranee della Riviera e via via radicate nelle aree montuose dell’entroterra, come pure elemento folkloristico delle molte località montane interessate dalla vicinanza con la Via del Sale è la consuetudine del coro, influenzato, grazie ai continui passaggi, dal “trallalero”, una forma di canto polifonico tipico del genovese.
Significative furono anche le contaminazioni in ambito culinario. Basti pensare che la bagna cauda, piatto principe della cucina piemontese, ha alla base l’acciuga, prodotto delle regioni affacciate sul mare che gli scambi commerciali hanno introdotto in entroterra. Anche la farinata, tipica della tradizione ligure e toscana, ha avuto diffusione nell’alessandrino ed in Oltrepò grazie probabilmente al transito sulle Vie del Sale, come invece la tecnica di conservazione della carne insaccata in budelli, giunta in Oltrepò con i Longobardi, si è affinata a Varzi proprio grazie alla grande disponibilità di sale e spezie, unita al clima favorevole e all’allevamento dei suini nei circostanti boschi ricchi di ghiande e castagne, tramandando sino ai giorni nostri il celebre salame di Varzi.
Il percorso seguito dalla Via del Sale pavese interessa buona parte della zona montuosa afferente al territorio oggi denominato delle Quattro Province, una porzione dell’Appennino compresa tra le province di Alessandria, Genova, Pavia e Piacenza. Ovviamente una via di comunicazione così frequentata ha favorito non solo scambi commerciali ma vere contaminazioni di usanze diverse, promuovendo un’identità culturale comune. Ne è un esempio la tradizione delle danze popolari accompagnate da muse e pifferi, un tempo attestate nelle zone litoranee della Riviera e via via radicate nelle aree montuose dell’entroterra, come pure elemento folkloristico delle molte località montane interessate dalla vicinanza con la Via del Sale è la consuetudine del coro, influenzato, grazie ai continui passaggi, dal “trallalero”, una forma di canto polifonico tipico del genovese.
Significative furono anche le contaminazioni in ambito culinario. Basti pensare che la bagna cauda, piatto principe della cucina piemontese, ha alla base l’acciuga, prodotto delle regioni affacciate sul mare che gli scambi commerciali hanno introdotto in entroterra. Anche la farinata, tipica della tradizione ligure e toscana, ha avuto diffusione nell’alessandrino ed in Oltrepò grazie probabilmente al transito sulle Vie del Sale, come invece la tecnica di conservazione della carne insaccata in budelli, giunta in Oltrepò con i Longobardi, si è affinata a Varzi proprio grazie alla grande disponibilità di sale e spezie, unita al clima favorevole e all’allevamento dei suini nei circostanti boschi ricchi di ghiande e castagne, tramandando sino ai giorni nostri il celebre salame di Varzi.
Oggigiorno sono cambiati i mezzi e le vie di comunicazione, ma a ripercorrere ancora le piste millenarie di antichi mercanti restano gli escursionisti che inseguono successioni di profili boscosi e silenzi di pascoli accarezzati dalla brezza di primavera. A loro sono dedicate queste pagine, nella speranza di fornire un’utile descrizione dei percorsi, e anche a quel lontano precursore che in un anfratto di roccia cercava riparo dal vento che sfilacciava le nubi sullo sfondo di inchiostro del cielo, lieto di concedersi un po’ di pane e formaggio e qualche ora di riposo prima di caricare il prezioso sacchetto di sale sulle spalle e riprendere l’ultimo tratto di cammino che ormai aveva il sapore di casa.
|